L’aggregazione temporanea di cui all’articolo 42-bis, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) va applicata nel senso che il dipendente pubblico, con figli fino a tre anni di età, può chiedere di essere temporaneamente assegnato anche ad una sede di servizio della provincia o regione in cui è fissata la residenza familiare.
Il principio è stato enunciato dalla Corte costituzionale che con la sentenza n. 99/2024 del 4 giugno 2024 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 42-bis, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto «ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa», anziché «ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione
nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l'altro genitore eserciti la propria attività lavorativa».
La sentenza ha innanzitutto chiarito che il trasferimento temporaneo dei dipendenti pubblici che siano genitori di figli minori di tre anni, proponendosi di favorire la ricomposizione dei nuclei familiari nei primissimi anni di vita dei figli nel caso in cui i genitori si trovino a vivere separati per esigenze lavorative, è chiaramente preordinato alla realizzazione dell'obiettivo costituzionale di sostegno e promozione della famiglia, dell'infanzia e della parità dei genitori nell'accudire i figli.
Proprio alla luce di una simile ratio dell'istituto, secondo la Consulta, non risulta ragionevole - e quindi in contrasto con l'art. 3 Cost. - consentire il trasferimento temporaneo solo nella provincia o regione in cui lavora l'altro genitore: una simile limitazione non assicura, infatti, una tutela adeguata in favore di quei nuclei familiari in cui entrambi i genitori lavorano in regioni diverse da quelle in cui è stata fissata la residenza familiare.
D'altronde, come si evince dal comunicato emesso dalla Corte il 4 giugno corrente, si tratta di un'ipotesi che nella realtà è divenuta sempre meno rara, anche alla luce delle trasformazioni che hanno investito sia le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative (attraverso le nuove tecnologie), sia i sistemi di trasporto. In relazione a tali casi, appare pienamente rispondente alla finalità dell'istituto consentire almeno a uno dei genitori di lavorare, nel primo triennio di vita del figlio, in una sede che si trova nella regione o nella provincia in cui è stata fissata la residenza della famiglia e in cui è domiciliato il minore (ai sensi dell'art. 45, comma secondo, del codice civile).
In definitiva, secondo la Corte costituzionale, un ampliamento dell'ambito di applicazione dell'istituto dell'assegnazione temporanea, oltre a risultare coerente con la finalità di protezione della famiglia e di sostegno all'infanzia, risponde all'esigenza di preservare la più ampia autonomia dei genitori nelle scelte concernenti la definizione dell'indirizzo familiare.