Con la recente sentenza n. 32770/2024 pronunciata nell’udienza dell’11 luglio 2024, la Terza sezione della Cassazione penale ha confermato che le condotte che, dal punto di vista civilistico, integrano il fenomeno del mobbing sono riconducibili, sul piano penale, al reato di stalking previsto dall'articolo 612 bis c.p.
Il caso concreto ha riguardato il comportamento di un medico, professore presso una scuola di specializzazione, consistente in ripetute molestie a sfondo sessuale nei confronti delle specializzande.
I Giudici di legittimità precisano che con la locuzione «molestie sessuali» la legislazione civilistica intende quei «comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo» (art. 2, comma 1, lett. , d.lgs. n. 145/2005, ora trasfuso nell'art. 26, comma 2, del d.lgs. 1 aprile 2006, n. 198), e che, sotto il profilo penalistico, detti comportamenti possono concretizzare il reato di molestie di cui all'articolo 660 cod. pen., ovvero di atti persecutori (o stalking) di cui all'articolo 612-bis cod. pen..
Allorquando la condotta dell'agente di reato sia idonea a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, si configura il delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. ricorrendo l’evento tipico del delitto di stalking, mentre sussiste il reato di
cui all'art. 660 cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 5, n 27909 del 10/05/2021; Sez. 6, n. 23375 del 10/7/2020; Sez. 5, n 15625 del 9/2/2021; Sez. 6, n. 23375 del 10/07/2020.
La Cassazione, richiamando un precedente del 2020 (Cass. penale n. 31273/2020), ha ribadito che si configura lo stalking nel caso del “datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere l’ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione e isolamento nell’ambiente di lavoro, tali da determinare un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima, così determinando uno degli eventi alternativi previsti dall’articolo 612 bis”.
Ai fini della contestazione del reato di stalking, ricorda il supremo consesso, è necessaria la sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie tipica e, dunque:
- condotte vessatorie e intimidatorie abituali e reiterate nel tempo;
- lo stato di ansia e timore ingenerato nella persona offesa ovvero il cambiamento da parte di quest’ultima dello stile di vita;
- il nesso di causalità tra le condotte persecutorie e i pregiudizi patiti dalla persona offesa;
- la coscienza e volontà in capo al soggetto attivo di porre in essere azioni che hanno un’obiettiva idoneità persecutoria.
Oltremodo interessanti, nella motivazione della sentenza in esame, sono le precisazioni della Cassazione in ordine alla differenza tra i reati di violenza sessuale e molestie sessuali.
La violenza sessuale sanzionata dall'articolo 609-bis cod. pen. comprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, pur se «fugace» ed «estemporaneo» (i.e. «repentino»), tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ovvero in un coinvolgimento della sfera fisica di quest'ultimo, ponga in pericolo la libera autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale. La valenza sessuale del contatto è indiscussa e indiscutibile ove si tratti di organi genitali o zone erogene (ivi comprese le labbra, sia della vittima che dell'agente di reato), mentre, negli altri casi, sarà frutto di un accertamento di fatto che tenga conto del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante.
L'atto deve essere definito come «sessuale» sul piano obiettivo, non su quello soggettivo delle intenzioni dell'agente. Se, perciò, il fine di concupiscenza non concorre a qualificare l'atto come sessuale, il fine ludico o di umiliazione della vittima non lo esclude (Sez. 3, n. 13278 del 12/03/2021; Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007; Sez. 3, n. 35625 del 11/07/2007).
Il delitto di violenza sessuale si esprime in forma tentata quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo si estrinseca nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere, con violenza o minaccia, li soggetto passivo a subire atti di valenza sessuale, accompagnato dal requisito soggettivo dell'intenzione di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell'idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale (Sez. 3, n. 34128 del 23/05/2006; Sez. 3, n. 45698 del 26/10/2011), e non alla mera «tranquillità» della stessa.
Il reato di molestia sessuale (art. 660 c.p.), è invece integrato solo in presenza di espressioni volgari a sfondo sessuale ovvero di atti di corteggiamento invasivo ed insistito diversi dall'abuso sessuale (Sez. 3, n. 38719 del 26/09/2012, M.A., non massimata), ove lo «sfondo sessuale» costituisce soltanto un motivo e non un elemento della condotta (Sez. 3, n. 51427 del 22/06/2023; Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020; Sez. 3, n. 41755 del 06/07/2021; Sez. 3, n. 1040 del 15/11/1996).