Negare un congedo parentale può configurare atto discriminatorio
Il principio è stato affermato dal Tribunale del lavoro di Grosseto con la sentenza del 24 luglio 2024 che ha condannato un’amministrazione comunale il cui dirigente aveva rifiutato l’assunzione a un’architetta che aveva superato una selezione pubblica per il ruolo di "istruttore direttivo tecnico", sulla base del fatto che la stessa aveva rappresentato la necessità di utilizzare il congedo parentale per accudire il suo bambino di tre mesi.
Dopo il fallimento del tentativo di conciliazione davanti alla Consigliera delle Pari Opportunità della Provincia di Grosseto, l’interessata ha adito il giudice del lavoro.
La decisione del Tribunale si è basata sul Codice delle pari opportunità, riconoscendo che la richiesta di congedo parentale non può giustificare la negazione di un’assunzione o comportare discriminazioni di qualunque tipo nei confronti delle lavoratrici.
La decisione è di ragguardevole importanza e costituisce un precedente rilevante per tutti i settori lavorativi privati e pubblici, considerato che, il Tribunale ha ritenuto configurata, nel caso di specie, la previsione di cui all’art. 25 del d.lgs. n. 198/2006 (cd. Codice delle Pari Opportunità) che, in
attuazione della Direttiva comunitaria 2006/54 CE, accoglie una nozione ampia di discriminazione, comprensiva di “qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento” che produca comunque un effetto pregiudizievole, non solo rispetto a un lavoratore già impiegato, ma persino nella fase di selezione del personale, “discriminando le candidate e i candidati” in ragione del loro sesso.
Invero, la decisione del Comune appariva motivata, secondo il giudice del lavoro, unicamente dalla prospettiva che la ricorrente si sarebbe avvalsa del congedo parentale, il che – secondo il giudice estensore – ha costituito motivo certamente discriminatorio, in quanto, se la ricorrente non avesse manifestato l’intenzione di avvalersi dei diritti connessi alla propria condizione di donna con prole in tenera età, sarebbe stata certamente assunta.
Il motivo della mancata assunzione in ragione dello status della donna e delle connesse rivendicazioni ha costituito, per il Giudice toscano, una discriminazione diretta in ragione del sesso della lavoratrice che, di fatto, aveva ricevuto un trattamento deteriore rispetto a quello garantito a un candidato uomo o a una candidata donna non madre di un bambino in tenera età.
Il Tribunale ha condannato il Comune al risarcimento di una significativa somma di danaro per i danni patrimoniali e non patrimoniali oltre che al ristoro delle spese legali.
La sentenza sottolinea come la decisione del Comune contenesse una motivazione discriminatoria.
Un aspetto fondamentale della sentenza è l'applicazione dell'inversione dell'onere della prova, principio che caratterizza la tutela contro la discriminazione. La lavoratrice ha dovuto solo presentare elementi sufficienti a far supporre la discriminazione, mentre al Comune spettava dimostrare l’assenza di intenti discriminatori. Non essendo riuscito a farlo, il Comune è stato condannato.