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L’abolizione dell’abuso d’ufficio al vaglio della Corte Costituzionale

In relazione alla recente abrogazione dell'abuso d'ufficio il Tribunale di Firenze ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. b) della Legge 9 agosto 2024, n. 114 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 10 agosto 2024, ed entrata in vigore il 25 agosto 2024) nella parte in cui abroga l’art. 323 c.p., per violazione degli articoli 97, 11 e 117, comma 1, Cost. (in relazione agli obblighi discendenti dagli artt. 7, comma 4, 19 e 65, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione – cd. Convenzione di Merida – adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, oggetto di ratifica ed esecuzione in Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116).

Il punto dirimente della decisione del Tribunale è il rischio di un eccessivo indebolimento della legislazione per la lotta alla corruzione.

Detto rischio era stato già segnalato dalla Commissione europea all’interno della sua Relazione annuale sullo Stato di diritto per il 2024, ove emerge che la fattispecie dell’abuso d’ufficio rappresentava un presidio della lotta alla corruzione, essendo un reato-spia capace di portare sotto la lente di ingrandimento condotte suscettibili di arrecare danno all’efficiente e regolare svolgimento dell’azione amministrativa.

Il giudice rimettente partendo dalla considerazione che la Consulta, in più occasioni, ha chiarito quali fossero i margini del sindacato di legittimità costituzionale su norme penali di favore, ha ricordato che la giurisprudenza Costituzionale non esclude a priori il sindacato costituzionale su norme penali favorevoli, ammettendolo quando:

-      si tratti di evitare la creazione di “zone franche”, ossia quando il legislatore introduca norme in contrasto con il principio di uguaglianza (articolo 3 Cost.), in forza delle quali venga esclusa la rilevanza penale di una determinata classe di condotte;

-      quando il giudizio di legittimità riguardi il corretto esercizio del potere legislativo;

-      quando si rilevi il contrasto con obblighi internazionali rilevanti ai sensi dell’art. 11 o dell’art. 117, primo comma, della costituzione.

Nel caso che ci occupa, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio contravverrebbe agli obblighi derivanti dalla c.d. Convenzione di Merida, la quale, all’articolo 19, prevede l’obbligo, in capo agli Stati firmatari, di introdurre fattispecie penali che sanzionino l’abuso di potere commesso da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.

La cogenza di detta disposizione si desume dalla lettura del documento di “interpretazione autentica” della Convenzione stessa (Legislative Guide for the implementation of United nations Convention against corruption) il quale chiarisce che, in linea di massima, la Convenzione richiede agli Stati firmatari di criminalizzare le diverse condotte riconducibili al fenomeno della corruzione, prendendo in considerazione non solo le forme più tradizionali di corruttela ma anche tutte quelle condotte propedeutiche come l’ostruzione della giustizia, il traffico di influenze e, appunto, l’abuso d’ufficio.

Secondo il Tribunale di Firenze, poiché l’ordinamento italiano già corrispondeva al contenuto della Convenzione al tempo della sua ratifica, prevedendo una vasta gamma di reati contro la P.A., l’unico effetto discendente dagli obblighi internazionali assunti consisteva in un obbligo di mantenimento o, al più, rafforzamento della tutela penale già esistente.

Per tali ragioni l’abrogazione l’articolo 323 c.p. sarebbe in contraddizione con gli impegni assunti a livello internazionale, anche alla luce dell’eliminazione della modifica di altri reati-spia quali il traffico di influenze illecite destinato ad avere un ambito di applicazione assai più ristretto rispetto al passato.

Complessivamente, il mutato assetto dei reati contro la P.A., secondo il Giudice a quo, anche alla luce della mancata introduzione, a bilanciamento, di misure amministrative di contrasto alla corruttela determinerebbe la violazione dell’articolo 97 Cost. (secondo parametro di legittimità costituzionale individuato dal Tribunale di Firenze).

Per tutte queste ragioni, il Tribunale di Firenze ha concluso affermando che “In definitiva, la scelta legislativa di abrogazione del delitto di cui all’art. 323 c.p. non pare riconducibile ad un legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore, ma si prospetta come arbitraria, atteso che: da un lato, non si è tenuto di conto che le ragioni poste a sostegno della spinta riformatrice (la c.d. “paura della firma” o “burocrazia difensiva”) erano di fatto venute meno (sopravvivendo, forse, solo sul piano, del tutto irrilevante, soggettivo e psicologico di singoli funzionari) in ragione delle recenti riforme e del successivo (ed ormai consolidato) orientamento giurisprudenziale di legittimità e dei principi enunciati dalla Corte costituzionale; dall’altro lato, non appare adeguatamente ponderato (e men che meno contenuto o neutralizzato) l’effetto dirompente che può avere la riforma, per il venir meno dell’effetto general-preventivo spiegato dalla presenza nell’ordinamento di una norma di chiusura che -seppur ormai relegata ad operare in casi eccezionali di particolare ed obiettiva gravità- evitava il dilagare di condotte dolosamente arbitrarie e lasciava ai cittadini uno strumento attraverso cui ricorrere alla magistratura.”.

Adesso non resta che attendere la pronuncia del Giudice delle leggi.

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