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.....che fece tremare Kappler e passò 90 giorni in via Tasso senza tradire i partigiani.
Un carabiniere diventato bandito, in nome della libertà. Uno dei tanti che a Roma dopo l’8 settembre 1943 hanno deciso di tenere fede al giuramento ai Savoia e al dovere di restare accanto alla popolazione. Il brigadiere Angelo Joppi ha fatto la stessa scelta del capitano Raffaele Aversa, l’ufficiale che il 25 settembre 1943 ha arrestato Benito Mussolini a Villa Torlonia e poi verrà ucciso alle Fosse Ardeatine: “Qui si sono tutti squagliati — aveva confidato Aversa a un collega — . Le truppe che difendevano la città, i capi militari, le autorità politiche. Siamo rimasti solo noi carabinieri, gli unici che possiamo ancora frenare gli eccessi tedeschi. Il nostro dovere è quello di proteggere la popolazione”.
Il 7 ottobre 1943 gli occupanti nazisti cercano di deportare in massa i carabinieri, facendoli convocare tutti in caserma per disarmarli. Molti fiutano la trappola ed entrano in clandestinità. Come centinaia di altri militari dell’Arma, Joppi si è messo agli ordini della rete guidata dal generale Filippo Caruso: una banda, come loro stessi la chiamavano.
Lui fa parte delle squadre d’azione, che obbligano tedeschi e fascisti a stare sul chi vive: hanno la missione di costringerli a vivere nella paura. Nel gennaio 1944 compie un attacco contro il comando della polizia germanica di via Tasso, scagliando due bombe a mano nel cortile: un raid dimostrativo, che rende insicuro persino l’ufficio del colonnello Kappler.
Il 7 marzo sfugge per un soffio alla cattura quando la polizia di Salò fa irruzione nella bottega di via del Vantaggio trasformata in deposito d’armi. Pochi giorni dopo partecipa all’agguato contro una colonna di repubblichini in via Tomacelli. Kappler, l’aguzzino delle Fosse Ardeatine, ha sempre temuto i carabinieri e scatena i suoi informatori contro Joppi: il brigadiere viene arrestato alla stazione di Piazzale Flaminio, mentre va a un appuntamento con altri militari in incognito assieme alla figlia diciassettenne.
Come lui stesso ha ricordato: “Una spia, già interprete di alberghi, al servizio delle SS tedesche, mi indicava a quattro agenti che con le rivoltelle in pugno si gettavano su di me, alla presenza di moltissima gente, ammanettandomi, mentre il traditore esclamava in segno di trionfo: “Questa volta non scappi più!”.
Lo portano nelle celle di Via Tasso, dove viene recluso per novanta giorni e torturato con ogni strumento durante 28 terribili interrogatori. “Era un vero inferno – ha scritto nelle sue memorie - lamenti e grida ad ogni ora, di giorno e di notte. In uno di questi interrogatori ebbi rotte tre costole con delle verghe di ferro di due centimetri di spessore. Mi avevano rovinato anche le mascelle e la mia sofferenza non aveva più limiti. In tanto orrore non venni mai meno all’impegno assunto: fui duramente negativo, sempre. Se il dolore fisico mi avesse vinto, non meno di cinquecento persone sarebbero andate di mezzo. La loro vita pendeva dalla mia bocca”.
Cosa gli hanno fatto? Ecco il referto medico: “Tre costole fratturate, due molari asportati con pinze da meccanico, frattura della mano sinistra, colpi allo stomaco, lesioni del timpano di un orecchio con emorragia interna, occhio sinistro cieco per trauma, lesioni alla testa, ginocchio fratturato con un mazzuolo di ferro, schiacciamento delle unghie dei piedi e ustionamenti con lampada a gas”. Nonostante tutto questo, ha taciuto. Nella notte del 3 giugno lui e altri detenuti vengono fatti salire su un camion: sono diretti fuori città, verso il plotone d’esecuzione che doveva fucilarli all’alba. Ma dopo pochi metri il veicolo si guasta e li riportano in via Tasso: è la loro fortuna perché gli Alleati stanno arrivando.
La città è a un passo dalla rivolta, i familiari dei detenuti si radunano all’ingresso della caserma tedesca: “Ad un certo punto, gridai ai miei compagni di pena: “Tanto siamo condannati a morire... gettiamoci a basso tutti insieme...”. Così la valanga umana dei morituri si precipitò, ormai senza speranza, giù per la scala sgominando gli stessi giustizieri, i quali, presi dal panico, inforcarono le motociclette e fuggirono. Mutilati, sanguinanti e disfatti, ci trovammo sulla strada, sulla famigerata via Tasso, tra le braccia dei nostri cari, salvi”.
Joppi, insignito della medaglia d’oro al valore militare, si è spento nel 1984. Ottanta anni dopo la sua prova d’eroismo, il Comune ha deciso di intitolargli una strada: un angolo del parco a pochi metri da Porta San Paolo. “Una storia esemplare di un periodo tragico, simbolo di resistenza e riscatto”, ha detto l’assessore alla Cultura Miguel Gotor nella cerimonia. Accanto a lui il generale Roberto Jucci, 98 anni: l’ex comandante in capo dell’Arma che da giovane ufficiale prese la tessera del Partito d’Azione nel novembre del 1943.