SIULCC

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7 ottobre 1943. La deportazione dei Carabinieri romani

Ogni giorno abbiamo conferme che, per affrontare le sfide del futuro, servono risposte sempre nuove, basate su competenze specialistiche aggiornate. Qualsiasi soluzione, però, deve basarsi anche su valori, che sono immortali, senza tempo. Sono valori etici che trovano la loro più chiara esemplificazione in personaggi o fatti del passato. In questa nuova collaborazione con questa prestigiosa rivista, proverò periodicamente a ricordare un fatto o un esempio del Passato, che indica ancora oggi una Virtù o un Valore da coltivare, perché senza Memoria non c’è Futuro.
 
Per iniziare, gradirei ricordare la determinazione e il sacrificio di migliaia di uomini, che furono deportati dai nazisti esattamente 80 anni fa. Non fu una deportazione basata su discriminazioni razziali, ma fu una scelta chiara tattica dei tedeschi. Il 7 ottobre migliaia di carabinieri italiani furono deportati per consentire la successiva cattura degli ebrei romani. Dopo l’occupazione nazista di “Roma Città Aperta” del 10 settembre 1943, il colonnello Kappler, capo delle forze di occupazione nazista a Roma, ricevette l’ordine di catturare gli ebrei, come avvenuto in altre città europee. L’operazione, che si sarebbe concretizzata con il rastrellamento del Ghetto ebraico, era prevista per il 25 settembre 1943. L’azione fu, però, posticipata, per un motivo semplice: occorreva prima neutralizzare i Carabinieri. Infatti, dopo aver arrestato Mussolini il 25 luglio 1943 su ordine del re, i militari dell’Arma avevano dimostrato in concreto la loro poca fedeltà al fascismo. I tedeschi, poi, proprio alcuni giorni prima, avevano visto i Carabinieri combattere a fianco dei rivoltosi, nelle famose “quattro giornate di Napoli” (27-30 settembre 1943). Per questo, si doveva evitare che i Carabinieri combattessero contro i tedeschi nella Capitale, come avvenuto a Napoli. Si pensi che, proprio in quei giorni, uno degli ufficiali che avevano arrestato il duce, il Capitano Raffaele Aversa, poi fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, diceva ai suoi uomini: “Siamo rimasti solo noi Carabinieri a fronteggiare gli eccessi dei tedeschi ai danni della popolazione che abbiamo il dovere di proteggere anche se non ci sono stati impartiti specifici ordini. Per questo, nessuno di noi, deve abbandonare il suo posto”.
 
La lettura degli archivi americani e la desecretazione dei messaggi riservati tra Kappler e Berlino ci fanno sapere cosa i nazisti pensavano dell’Arma. In un telex del 30 agosto1943, riferendosi ai Carabinieri, Kappler scriveva: “anche se svolgono funzioni di polizia, obbediscono ad ordini militari, dal nostro punto di vista sono da considerarsi inaffidabili”. Il 20 settembre, riferiva: “gli amici della Germania segnalano il crescente odio dei Carabinieri che sono la fonte di quasi tutta l’animosità contro i tedeschi”.
 
Di conseguenza, l’ordine di rastrellamento del Ghetto ebraico, datato 25 settembre, fu differito al 16 ottobre: occorreva prima neutralizzare i Carabinieri, per evitare che l’Arma ostacolasse la cattura degli ebrei.
 
Con la direttiva n. 269 datata 6 ottobre 1943 (foto in fondo), il Ministro della Difesa Nazionale Rodolfo Graziani ordinò, entro la notte stessa, il disarmo dei Carabinieri Reali in servizio alle Stazioni della Capitale e la loro contestuale consegna in caserma. Anche le unità naziste ricevettero le stesse disposizioni in gran segreto il 6 ottobre.
 
Fu così che all’alba del 7 ottobre ‘43, le SS circondarono le caserme dei Carabinieri di Roma, bloccandone all’interno tutti i militari che, ignari, furono subito disarmati. Molti Carabinieri riuscirono a scappare ben prima che l’operazione di rastrellamento fosse conclusa. Altri, impegnati in pattuglie, non avevano avuto la possibilità di sottrarsi all’accerchiamento, ma erano riusciti ad allertare i colleghi così facendoli allontanare prima che le caserme fossero occupate.
Furono catturati oltre 2 mila Carabinieri in servizio nella Capitale, forse fino a 2.500, come riportano proprio i registri tedeschi (il numero è incerto dal momento che i nazisti bruciarono tutti gli archivi delle caserme dell’Arma occupate). I militari italiani furono rinchiusi, per tutta la notte, nelle caserme più grandi, sotto la custodia dei nazisti che avevano l’ordine di far fuoco contro chiunque tentasse di evadere. Molti militari riuscirono per fortuna a dileguarsi, spesso portando le armi con loro, grazie a tempestive segnalazioni di amici dell’Arma che, pur consapevoli dei rischi, in molti casi li aiutarono a trovare un nascondiglio.
 
Il giorno dopo, l’8 ottobre, i militari trattenuti vennero avviati alle stazioni ferroviarie Ostiense e Trastevere, dove furono fatti salire su treni merci diretti a Nord. Per tranquillizzarli fu fatta circolare la falsa notizia che sarebbero scesi a Fidenza per essere impiegati nei territori del Nord Italia. In realtà, tutti i Carabinieri catturati furono deportati in campi di lavoro o di internamento in Austria, in Germania e in Polonia, da dove oltre 600 non tornarono più e gli altri riuscirono a fare ritorno soltanto dopo lunghi mesi di sofferenze e stenti, non venendo nemmeno riconosciuti come prigionieri di guerra.
Dopo aver eliminato la minaccia proveniente dall’Arma, otto giorni dopo, all’alba di sabato 16 ottobre 1943 i tedeschi rastrellavano il ghetto di Roma. Gli ebrei residenti a Roma erano certamente ben più dei 1200 che sarebbero stati bloccati quella mattina. In migliaia si erano messi al sicuro ben prima del 16 ottobre, anche grazie ai Carabinieri che avevano rallentato il piano nazista di oltre due settimane. L’Arma dei Carabinieri e la comunità ebraica a Roma avevano avuto una sorte simile. Il 7 ottobre 1943 venivano deportati oltre 2000 Carabinieri: alcuni sarebbero stati uccisi, molti sarebbero morti di fame, malattia e maltrattamenti. Il 16 ottobre oltre 1200 ebrei venivano portati via treno – in grandissima parte (ben 1023) – direttamente ad Auschwitz, da dove solo in sedici (15 uomini e una donna) sarebbero usciti vivi. Il sacrificio di quegli uomini, i cui nomi non sono tutti giunti sino a noi, non va dimenticato. Anche sul loro sacrificio è rinata una nuova Europa, che non può e non deve dimenticare il suo passato

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